Dire la verità by Davide Serafin

Dire la verità by Davide Serafin

autore:Davide Serafin [Serafin, Davide]
La lingua: ita
Format: epub
editore: People
pubblicato: 2023-01-19T23:00:00+00:00


Vita di Mario, ingegnere

Quando anche l’ultimo mattone è stato sigillato e del feretro non è rimasta più di un’impressione sulla retina, uno dei necrofori si è avvicinato a chiedere se qualcuno di noi conoscesse il defunto.

Ha in mano due cartelli recanti i nominativi. Sono due i funerali quel pomeriggio, al cimitero del paese, e dell’altro defunto non v’è nessuno, nessun parente, nessun conoscente. Nessuno. Succede così, che si vive insieme e si muore da soli, com’è stato per l’ingegnere Mario Invernizzi: un’esistenza spesa a lavorare alla raffineria e poi, una volta morta la moglie, la lunga e “ francescana” solitudine dentro a quelle quattro stanze in via della Ginestra, su al terzo piano senza ascensore.

«Mario Invernizzi. Ingegnere» rispondo al becchino.

È tutto ciò che resta di lui. Un cartello, un nome e un cognome, qualche numero, null’altro.

Eppure l’ingegnere di cose ne aveva fatte, alcune anche non propriamente da andarne fieri, da raccontare ai nipoti. O forse sì, bisogna raccontarli, quei misfatti, onde evitare che si ripetano, onde evitare che ancora qualcuno abbia la stessa medesima cieca fede.

Mario, l’ingegnere, a un certo punto della sua esperienza questo l’aveva capito. Non era stato semplice e nemmeno poco doloroso. La sua fede era semplicemente errata. Era sbagliata perché basata su una presunzione, ossia che la tecnologia e il progresso avrebbero salvato il mondo. Non era così, o meglio, non era quella per cui lui provava un trasporto quasi fideistico la tecnologia da sostenere. Ma se ne era accorto troppo tardi.

La casa l’aveva ricevuta in assegnazione dall’ente previdenziale, pochi mesi dopo aver accettato l’incarico di direttore dello stabilimento. Un caseggiato di nuova costruzione, i muri sottili come cartapesta. Era situato al quartiere nuovo, sorto in periferia proprio in previsione di accogliere le nuove maestranze dell’impianto ANIC.

Olimpia, la moglie, era sempre occupata in cucina. Non avevano figli, lo stipendio dell’ingegnere bastava a tutti e due. Ogni tanto vedeva la sorella e il fratello, mentre i nipoti scorrazzavano tra le stanze a far del chiasso dove invece erano sempre la tranquillità e il silenzio, il pallido chiarore dei pomeriggi senza cose da fare, la tv accesa sul canale secondo, le chiacchiere sussurrate dal balcone con la vicina. La vita a Sannazzaro era così, fatta di cose piccole e insignificanti, di giorni sempre uguali a loro stessi in una sorta di circuito inesauribile, perpetuo. L’alimentari al sabato, il giornale al lunedì, con i risultati dello sport; il mercoledì un passaggio alla locale SOMS per una partita a burraco. Il venerdì a far la lista per l’alimentari del sabato, e così via.

Per Mario era diverso. Per Mario, Sannazzaro iniziava e finiva laddove iniziava e finiva la raffineria ANIC. Mario era uno che lasciava il suo ufficio solo quando diveniva buio, mai prima, ma di certo non era per approfittarsene e raggranellare qualche spiccio di più in busta paga.

Lui era arrivato alla raffineria con un’esperienza ragguardevole alle spalle. Era stato a capo di una squadra dell’Ente Nazionale Idrocarburi. La squadra che effettuava le ricerche di nuovi pozzi nella Pianura Padana.



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